È più facile raccontare la storia di una due ruote quando sulla sua sella ci sei stato… correva l’anno… beh, ne sono passati un po’, erano gli anni ’70 e stavo cercando la mia seconda moto, che differisse completamente dalla prima che era un mostro velocissimo e inguidabile.
Stavo cercando una moto divertente con la quale macinare un bel po’ di chilometri, una moto che avesse un carattere anche dal punto di vista estetico, oltre che motoristico.
Vedere le scrambler della Ducati e innamorarmene fu un tutt’uno. C’erano tre cilindrate: 250, 350 e 450, inutile dire che la mia scelta cadde su quest’ultima, sempre alla ricerca della maggiore potenza (per quanto, con i suoi 27 cavalli, non si può dire che fosse un mostro di potenza…).
Questa famiglia di moto era nata negli anni ’60, in particolare la 450 portava il 1969 come data di nascita. Erano uscite dalla testa e dalla penna di Fabio Taglioni, un brillante ingegnere che dopo un breve periodo di insegnamento a Imola, durante il quale progettò due motori, fu assunto prima dalla Mondial, per la quale progettà un propulsore che le fece vincere il giro d’Italia, quindi dalla Ducati della quale, salvò le sorti, creando un mezzo vincente.
A quest’uomo, cresciuto resprirando i fumi dei motori nella piccola officina del papà, in una piccola frazione di Lugo, sono dovute le soluzioni che ancor oggi caratterizzano le creazioni di Borgo Panigale, dal bicilindrico a “L” a, soprattutto, quel desmodromico che Mercedes aveva scartato come soluzione meccanica e che lui seppe portare alle vittorie nelle corse e nel mercato.
La Scrambler era nata dietro richiesta del mercato americano che chiedeva una stradale adatta anche agli sterrati della grande provincia americana, ed ecco così che dopo una preserie din una 100cc. Riservata unicamente agli USA, tanto che in Italia non mise mai le ruote, all’inizio degli anni ’60 apparvero, nell’ordine, la 250, la 350 e, finalmente, la “mia” 450.
Efficiente nella tenuta di strada (dote che mancava completamente alla due ruote che l’aveva preceduta e che mi aveva portato a questa scelta) e nella frenata, personalmente trovai solo due pecche: un limite dovuto alla scarsa velocità di punta che poteva raggiungere e un livello di vibrazioni realmente elevato e che portavano a piccoli guai alla componentistica che mal sopportava quei regimi.
D’altra parte, come detto, i 133 kg. della moto, la frenata efficiente, che le davano un comportamento su strada assolutamente sicuro e un suono del motore bello rotondo da un lato, e la gratificazione dal punto di vista estetico per cui la 450 godeva anche la fama di moto “trendy” (facendosi spesso guardare con un po’ di invidia) da un altro davano il loro “perché” alla 450 Scrambler.
Qualcuno pensa che le linee (e il nome) di questa bella monocilindrica derivassero dalle moto nello stile di Easy Rider, film che celebrò la saga dei chopper, in realtà il nome deriva da “to scramble”, “rimescolare”, in inglese, proprio a significare che questa moto doveva servire ad ambedue gli utilizzi: una stradale in grado di essere utilizzata con soddisfazione anche sugli sterrati che, nella grande provincia americana (per il cui mercato – lo ricordiamo – questa famiglia di moto era nata) conducono alle numerose fattorie dalle principali highway.
Nella mia personale scuderia, dopo molti chilometri percorsi con soddisfazione, soprattutto nelle strade tutte curve di montagna (sui lunghi rettilinei, come ho detto, la velocità massima non particolarmente esaltante la rendeva un po’ noiosa, anche per la posizione di guida non proprio comodissima), la lasciai con un po’ di rimpianto (era proprio bella!) per una giapponese che dava molti chilometri/ora in più, ma questa è un’altra storia, sta di fatto che l’arancione del serbatoio della mia 450, da allora, è rimasto tra i miei colori preferiti come l’affetto per la casa di Borgo Panigale che mi fa dire “anch’io ne ho avuto una!”.
Caratteristiche tecniche – Ducati 450 Desmo del 1973
Dimensioni e pesi
Ingombri (Lungh.xLargh.) 2.120 x 940
Altezze Sella: 770 mm – Minima da terra: 180 mm – Pedane: 280 mm
Interasse: 1.380 mm
Peso a vuoto: 140 kg
Capacità serbatoio: 12,6 l di cui 1,6 di riserva
Meccanica
Tipo motore: Monocilindrico verticale ciclo Otto, con testata e cilindro in lega leggera e canna in ghisa
Raffreddamento ad aria
Cilindrata 340,2 cm3 (Alesaggio 76 x Corsa 75 mm)
Distribuzione: monoalbero a camme in testa comandata da alberello e coppie coniche, 2V per cilindro, inclinate fra loro di 80°
Alimentazione: carburatore Dall’Orto VHB 29
Potenza: 27 CV a 8.500 giri
Rapporto di compressione: 9,3:1
Frizione: Dischi multipli in bagno d’olio
Cambio: in blocco a 5 marce a innesti frontali
Accensione elettronica Bosh
Trasmissione primaria a ingranaggi elicoidali; secondaria a catena
Avviamento a pedale
Ciclistica
Telaio Monotrave in acciaio a culla aperta
Sospensioni Anteriori: Forcella Marzocchi teleidraulica con steli coperti ∅ 35 mm / Posteriori: Forcellone oscillante con ammortizzatori Marzocchi, regolabili su 3 posizioni
Freni Anteriore: a tamburo centrale Grimeca, doppia camma, ∅ 180 mm Posteriore: a tamburo centrale Grimeca, camma singola, ∅ 160 mm
Pneumatici anteriore 3,50 x 18 posteriore 4,00 x 18, con cerchi a raggi Borrani
Prestazioni dichiarate
Velocità massima 130 km/h
Accelerazione sul quarto di miglio da fermo, 14,600 s
Consumo medio 20 km/l